Movimentazione industriale e globalizzazione

La movimentazione industriale oggi pone una serie di interrogativi e apre delle domande su uno scenario globale che non abbiamo mai conosciuto prima. Ecco alcune riflessioni. Oggigiorno ogni individuo è immerso nel dialogo sulla globalizzazione; le pagine di giornali e riviste sono bombardate da questa parola ed esistono miriadi di siti internet e blog che spiegano o fanno da sfondo a conversazioni del caso.


Geografia, politica, economia, sociologia, giurisprudenza, le diverse scienze, riscontrano tutte la presenza di questo vocabolo. Ma che impatto ha sul mondo della logistica e la movimentazione industriale italiana? Analizziamo per punti questa metamorfosi che sta interessando il nostro “bel paese”.
Innovazione tecnologica
Facendo una passeggiata tra i magazzini ed i centri di smistamento delle aziende italiane odierne, si può già respirare la ventata d’aria nuova in ambito tecnologico.
Scaffali –automatici- che si organizzano da soli, laser che guidano muletti e carrelli trasportatori indicando possibili ostacoli lungo il tragitto, nuovi e sempre più efficienti sistemi di tracciamento, carrelli trasportatori e saliscale con prestazioni eccellenti: sono solo alcuni dei cambiamenti che stanno avvenendo in molte imprese italiane e che sono già avvenuti in altre.
Questa continua trasformazione è frutto di un ampio e costante processo denominato globalizzazione (in questo caso nell’ambito dello sviluppo tecnologico).
Internazionalizzazione
Oltre ad aver esportato ed importato evoluzioni nel campo scientifico-tecnologico, l’Italia (Veneto, Lombardia ed Emilia-Romagna in primis) ha rivolto lo sguardo ad una internazionalizzazione dei mercati e dei flussi economici.
Con questa ottica le nuove sfide sono molte per PMI e grandi aziende. Per rispondere a queste ultime in modo concreto, i distretti industriali devono puntare alla delocalizzazione positiva, basata su acquisizioni, formazione di gruppi e ingrandimenti aziendali; la semplice fuga verso paesi con pressione fiscale minore non è di certo la via più funzionale.
È necessario aumentare il grado di internazionalizzazione delle PMI attraverso una più ampia penetrazione commerciale all’estero e attività di outsourcing, tecnica aziendale che focalizza l’attenzione sul proprio valore aggiunto. Infine, la creazione di holding produttive e finanziarie, può dare maggior dinamismo internazionale all’Italia.
Nel mondo le merci si spostano, quindi. Ma quanto? Secondo il Global Connectedness Index 2014 di DHL, i numeri sono questi:

  • Il 23% dei beni e servizi che formano il PIL mondiale vengono scambiati fuori dai confini.
  • Gli investimenti diretti all’estero sono il 36% del PIL.
  • Le informazioni internazionali reperite via internet sono il 17% del totale.
  • Le telefonate internazionali sono il 3-4% del totale.
  • Le pubblicazioni cartacee tradotte raggiungano il 14% – il massimo in Francia).
  • Le news internazionali lette in un paese sono al massimo il 5% (in Gran Bretagna).
  • La migrazione internazionale si attesta al 3,4%.
  • Gli studenti internazionali sono il 2,2%. (potete leggerli tutti QUI).

L’importanza delle risorse umane

Nonostante gli enormi passi in avanti compiuti dalle aziende italiane, il fulcro degli sforzi economici ed organizzativi resta la produzione. A fare le spese di questa centralizzazione delle risorse – oltre all’azienda stessa – sono particolari settori come le risorse umane e la comunicazione. In una visione globalizzata della logistica, le risorse umane sono complici della crescita e dello sviluppo di questo importante reparto che deve essere visto come un valore aggiunto, non come una spesa da eliminare.
Oggidì ne ha ben donde chi, con investimenti finanziari e non solo, incrementa ed evolve i servizi logistici. È necessario comprendere che il sistema distributivo deve essere una garanzia per il cliente e un biglietto da visita per l’impresa, anche se la sua gestione viene affidata ad altre aziende.